Si conclude un percorso iniziato da Perugia un anno fa con il Chisciotte di Alessio Boni e Serra Ylmaz (ricordo addirittura di avergli scritto una lettera) e proseguito recentemente con la serata di Erri De Luca a Foiano della Chiana per il Book Festival, ma faccio fatica a parlare di un lavoro teatrale “In arte son ChisciottƏ”, adattato e messo in scena da un gruppo di amici. Di solito non ne parlo, perché agli amici riservo un altro tipo di trattamento: li invito a cena, li torturo con l’ascolto dei miei vinili, li stordisco con i distillati. Ma non posso non scriverne se gli amici poi creano un capolavoro. L’adattamento del classico di Cervantes che porta la firma di Samuele Boncompagni e la partecipazione di alcuni membri dell’OMA ha come co-protagoniste Elena Ferri e Luisa Bosi. Una narrazione tra teatro, meta-teatro e avanguardia teatrale da restare davvero stupefatti. E’ vero, dura “solo” cinquanta minuti ma del tempo che passa si è già persa la percezione dopo pochi minuti. Perché se è davvero complessa la realizzazione e la performance on stage dell’opera, lo è altrettanto la visione sospesa tra il seguire lo svolgersi delle vicende dell’hidalgo e del suo scudiero e l’attenzione che il suo dipanarsi richiede, perché si rischia di perdersi, di con-fondersi. Elena e Luisa, rispettivamente Chisciotte e Sancho Panza, si calano inizialmente in un pozzo. Si vede così una fune scendere e poi la visione cambia di prospettiva visto che la regia filma le protagoniste le quali dapprima si trovano davanti al telo, per poi finire al di là di esso, dove avviene la proiezione (da dietro le quinte) dello spettacolo. Una situazione del genere l’avevo vista solo a Siena in primavera al Teatro dei Rinnovati quando andò in scena la trasposizione teatrale del Festen di Vinterberg. Ma qui siamo andati oltre perché lo spettacolo è ricco di trovate come la “pausa” in cui i protagonisti se la godono banchettando davvero e cazzeggiando leggiadramente (ad un certo punto si sente il Roccia con lo smartphone che squilla dire agli altri: “deve essere il Laurenzi” – che era tra il pubblico in sala) e soprattutto quando verso la tre quarti dello show il telone, su cui era proiettata la performance fino ad allora, si apre di un metro e fa vedere il dietro le quinte. Le due protagoniste quindi tornano davanti al pubblico, a quel punto totalmente stordito tra finzione, realtà, sogno e visione. Non si sa più cosa fare! Chi e dove guardare: meraviglioso! Uno spettacolo concatenato su sé stesso che non può essere descritto e che richiede solo una cosa: la presenza a teatro. Sugli scudi tutti gli interpreti ma anche la scenografia fatta a mano con trovate geniali, molto d’impatto che trasformano l’ambiente in una vera landa della Mancha e quel telone abbassato da far vedere i mulini che altro non sono che girandole che girano, girano, girano senza sapere se si fermeranno. Come la trottola di inception. Complimenti amici, avete regalato ai presenti un capolavoro. Cinquanta minuti. Cinquanta minuti di applausi. In sella Sancho, non distrarti, c’è da andare a sconfiggere la razionalità!
- di Samuele Boncompagni
- liberamente ispirato a Don Chisciotte della Mancia: di Miguel de Cervantes Saavedra
- studi e documentazioni: Stefano Ferri
- con Luisa Bosi, Elena Ferri
- musiche: Massimo Ferri
- eseguite dal vivo da I solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo:
- Luca Roccia Baldini: basso, cajon
- Massimo Ferri: chitarra, oud, mandolino
- Gianni Micheli: clarinetto, fisarmonica
- Mariel Tahiraj: violino
- scenografa in scena: Lucia Baricci
- tecnico in scena: Paolo Bracciali
- regia: Luca Roccia Baldini
- fonico: Gabriele Berioli
- riprese e regia video live: Pierfrancesco Bigazzi, Giulio Dell’Aquila (Materiali Sonori)
- assistente alla regia: Stefano Ferri
- produzione: Officine della cultura